Con Blade Runner Ridley Scott (che arrivava da minchiatine tipo The Duellists e Alien) ridefinisce il concetto di sci-fi e traccia la via per quello che, da quì in avanti, sarà l’immaginario condiviso di qualunque scenario futuribile. Lo fa mettendo in scena un noir che sembra parlare di replicanti, navi stellari e colonie offworld ma che in realtà parla al cuore di ognuno di noi di un argomento futile e leggero come la vita. Blade Runner è di fatto un inno alla vita intesa nella sua accezione più ampia, sotto qualunque forma questa si presenti, sia essa reale o replicata. Roy Batty (la migliore interpretazione di Rutger Hauer) porta un messaggio e un insegnamento. E nel momento in cui salva Deckard (un perfetto Harrison Ford) lo fa a prescindere. Che poi questi sia o non sia anch’egli un replicante è poco rilevante. E’ vivo, e tanto basta. La meravigliosa Sean Young, un viscido Edward James Olmos (che ritroveremo vent’anni dopo sul ponte di Battlestar Galactica) e Daryl Hannah completano un cast sussurrato e perfettamente a proprio agio nei meccanismi del film. Due, tra le numerose edizioni, sono imperdibili: la U.S. theatrical version del 1982 (con la famigerata voce narrante) e la Final Cut del 2007, supervisionata e finalmente approvata dallo stesso Scott. Da vedere, rivedere, rivedere. E rivedere ancora.