Ti ci avvicini pensando alla serie originale (si, quella del 1978) che era simpatica ma decisamente sfigatella e la cui ombra di cheesiness si allunga minacciosa, riempiendoti di preconcetti anche su questa versione re-imagined. Poi dopo un po’ che rimandi, nella classica sera della disperazione, decidi di darle una chance. E li, proprio li, in quel preciso momento, davanti a quello che di fatto è un pilot di tre ore (la prima miniserie) ti senti un pirla: quanto tempo hai perso a tergiversare?! E ora ti trovi davanti a qualcosa di diverso, un’opera meravigliosa, innovativa, cazzuta, delicata, intensa, in cui lo spazio non è l’ultima frontiera, men che meno il playground per navicelle scintillanti e raggi laser! In BSG esistono la polvere, l’usura, la fatica. Le astronavi sono sporche, le divise si rovinano, le facce sono dei grugni che si graffiano, e finalmente non solo (non del tutto) hollywoodiane. Con l’intensità di una poesia, l’emozione di un ricordo, ti ritrovi a conoscerli uno per uno e a soffrire con loro. E quando ti lanci lungo le quattro stagioni seguite alla miniserie non puoi che provare gratitudine per Ronnie D. Moore, papà e deus ex machina di Battlestar Galactica. Questa è la serie TV che ho amato di più in tutta la storia delle serie TV, su cui volontariamente assumo una posizione acritica definendola perfetta. Ovvio che nei quattro anni ci siano stati inevitabili alti e bassi, ma è il valore complessivo dell’opera che segna una milestone gigantesca. Un capolavoro girato in digitale HD che visto in bluray fa paura per quanto è bello, una profondità e un’ampiezza di temi narrativi attualissimi e acuti, una soundtrack da-ur-lo, e la capacità non comune di farti riflettere, di coinvolgerti emotivamente, di entrarti sotto pelle. Un’esperienza che, più che da guardare, è da vivere.
All this has happened before, and all of it will happen again. So say we all.