Partiamo dalla fine: nel 2008 – dopo avere generato un fenomeno che ad oggi conta 4 film, infiniti fumetti, migliaia di citazioni e una serie TV – The Terminator è stato selezionato per essere conservato presso lo United States National Film Registry in quanto opera culturally, historically, or aesthetically significant. Mica male per un B-movie creato dallo sconosciuto (all’epoca) James Cameron scopiazzando quà e là e mettendo insieme un po’ di Philip K. Dick e qualche sceneggiatura di The Outer Limits. Del resto, come diceva Picasso, i bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano. Ma Cameron non si limita a rubacchiare: ci mette del suo. E alla fine riesce a creare un film talmente perfetto da diventare storia del cinema. Non solo: con The Terminator esplodono anche due nomi che in una notte diventano due mostri sacri del grande schermo: lo stesso Cameron e Arnold Schwarzenegger, che grazie a questo ruolo da superbaddie si ritroverà protagonista strapagato della scena action del decennio successivo. Venendo al film, il plot a tratti è geniale, intriga tutta la storia dei paradossi temporali, la fotografia è da noir, la musica perfetta. Il cyborg venuto dal futuro è inarrestabile, ha un piano, non guarda in faccia nessuno. Il cast è emergente ma perfetto, Michael Biehn e Linda Hamilton ci credono e questo giova al tutto, il finale – un falso happy-end velato di un fortissimo senso di disperazione – è apertissimo (e infatti darà il via ad una quadrilogia). Da incorniciare la battuta, che diventerà il trademark del futuro governatore della California I’ll be back. Insomma, un B-Movie da vedere, costato 6,4 milioni di dollari e capace di incassarne più di 78. Anche se non si ama Schwarzenegger, anche se non si ama la fantascienza, due ore a questa milestone bisogna dedicarle.