Nel 1969, mentre scriveva il racconto Il buio e il miele, probabilmente Giovanni Arpino non avrebbe mai pensato che prima Dino Risi (nel 1974) e poi Martin Brest (1992) ne avrebbero tratto un film. Scent of a Woman, la versione americana, vede quello che secondo me è il miglior Al Pacino di sempre calarsi meravigliosamente nella parte del Lieutenant Colonel Frank Slade, un marine reso cieco da un incidente con una bomba a mano. Per questo, Slade è incazzato con Dio e con gli uomini, non ne può più, vuole farla finita. Non prima, però, di un’ultima notte a New York, per un canto del cigno tra le braccia di una bella donna, nel lusso di un grand hotel. Il profumo di donna, ora che ha perso la vista, è l’unica cosa che gli resta per celebrare degnamente l’ultimo inno alla vita. Ma siccome nulla va come pianificato, il Colonnello troverà sulla sua strada Charlie – guardacaso il nomignolo che i marines usavano in Vietnam per identificare il nemico – un ragazzo semplice, di sani principi, integro (un grandissimo Chris O’Donnell). Un incontro che gli cambierà, letteralmente, la vita, facendogli scoprire una diversa forma di amore e di rispetto che si concretizzerà nell’indimenticabile tirata finale. Il discorso di Pacino in difesa di Charlie, vittima di un sistema che proclama valori eterni ma insegna corruzione e meschinità, è – insieme alla scena del tango e della Ferrari – uno dei punti più alti di questo Scent of a Woman. Un film talmente assoluto, intenso, commovente e irripetibile che perfino l’happy end non stride, completando invece il percorso narrativo che dal baratro del buio arriva a riscoprire e celebrare la vita.
I’m too old, I’m too tired, I’m too fuckin’ blind. If I were the man I was five years ago, I’d take a flamethrower to this place!