Dietro la Macchina da Presa c’è un certo Frank Darabont, che dopo aver diretto cazzatine tipo The Shawshank Redemption torna a gettarsi a capofitto nel mondo di Stephen King, portando sullo schermo queste sue nebbie horror. Partendo da un plot squisitamente B-Movie – il classico esperimento dei militari in cui qualcosa è andato maledettamente storto – il film ci catapulta nella solita, anonima cittadina Americana, e più precisamente nel suo centro commerciale, anche in questo caso pescando a piene mani tra i capisaldi del genere, vedi Dawn of the Dead di Romero. In effetti per tutta la prima metà del film Darabont da l’idea di cercare a tutti i costi il clichè, quasi a rassicurarti che quello che stai vedendo sia il solito filmetto horror. In realtà tutto questo avviene con gusto e sempre al di fuori della banale scopiazzatura, mentre di fatto il regista ti sta tendendo un bel tranello di cui ti renderai conto solo negli ultimi cinque minuti. Questa rassicurante sensazione di dejà vù è uno dei quattro pilastri di questo capolavoro del cinema horror. Mostruosità da record e critica sociale (mai così dichiarata, in particolare nei riferimenti alla religione) ne costituiscono altri due, mentre il quarto pilastro è finalmente un unhappy-end veramente devastante e capace di lasciarti con la mascella appoggiata sul divano mentre scorrono i titoli di coda. Assolutamente da vedere, anche per i non amanti del genere, altro che solito filmetto horror!
Bud Brown: It appears we may have a problem of some magnitude.