Dopo il triennio passato a studiare alla scuola di Sergio Leone, Clint Eastwood va a Mono Lake (California) e si improvvisa regista di un film western americano, che però è a tutti gli effetti uno spaghetti western. Anche qui infatti – così come nella miglior tradizione dei film western nostrani – non ci sono indiani, nè il 7° cavalleggeri, nè carovane di mormoni, ma solo una semi-desertica cittadina di confine, in cui l’umanità lascia spazio allo spirito di sopravvivenza. I personaggi sono estremi, immorali, bestiali, gretti, in quello che sembra essere comunque un omaggio al maestro. Il west di Eastwood è infatti inevitabilmente clonato dall’incubo di Sergione, e anche il personaggio che lui stesso porta sullo schermo è figlio (o fratello) dello straniero senza nome della trilogia del dollaro. Un film secco e teso, che parla ancora una volta di una vendetta studiata fino all’ultimo dettaglio, e di un uomo senza nome (chi sei? gli chiedono verso la fine) che si presenta come un rifiuto della società e che alla fine ne esce come l’unico in cui la civiltà non è stata sacrificata all’interesse. Meravigliosamente memorabile l’umorismo dark con cui Eastwood mostra, nella scena del cimitero, due tombe con i nomi di Sergio Leone e Don Siegel, omaggio ai due registi – allora in vita – ispiratori e iniziatori della sua carriera cinematografica.
Sarah Belding: Be careful. You’re a man who makes people afraid, and that’s dangerous.
The Stranger: It’s what people know about themselves inside that makes ’em afraid.