Vertigo (1958)

Già il titolo è di per sé un capolavoro, come al solito pateticamente storpiato in Italia come La Donna Che Visse Due Volte, a dimostrazione che i distributori (anche quelli dell’epoca!) non ci avevano capito nulla. Vertigo è uno dei film che definiscono Hitchcock e il suo cinema. Quasi un distillato, un’essenza, un bigino dell’approccio del regista. E ovviamente la chiave di volta è la patologia di Scotty (il solito super-chic e grandissimo James Stewart) e non la presunta doppia vita della bionda Madeleine/Judy (una Kim Novak davvero mozzafiato). E’ intorno a Scotty che tutto gira, e senza di lui il piano non avrebbe senso né alcuna possibilità di riuscita. Meravigliosamente girato il location a San Francisco e dintorni, con quei colori e quel look-and-feel così anni’60, così hitchcockiani, con quelle macchine, quegli abiti (ma quanto erano sexy le donne in quegli anni? E quanto è irresistibile Kim Novak in versione Madeleine?). Alfredone se la gioca alla grande con inquadrature, angoli di ripresa, musiche: tutto a costruire un senso di ansia, rappresentata perfettamente dalla vertigine di Scotty e sempre raccontata sul filo del malinteso e del doppio. E come sempre porta in scena il delitto (quasi) perfetto che, malgrado qualche – vista oggi – ingenuità narrativa, potrebbe farla franca se non ci si mettesse di mezzo il destino di un incontro casuale. Adoro non aver saputo fin quasi alla fine chi fosse il cattivo, ma soprattutto adoro il coraggio di un unhappy-end devastante, capace di togliere ogni speranza e di rispedirci tutti, insieme a Scotty, in manicomio.

Madeleine: Only one is a wanderer; two together are always going somewhere.

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