Giusto per mettere subito in chiaro dove andremo a parare, compro una vocale e modifico il titolo del film: da Noah a Noiah. Un minestrone tremendo, che mescola troppi ingredienti, per altro nemmeno troppo freschi, e viene servito tiepido e senza sale. Il cast è l’unica cosa che si salva, ma fossi in Russell Crowe, Jennifer Connelly e Anthony Hopkins farei causa alla produzione, capace di gettare al vento l’idea tutto sommato intrigante di rappresentare l’avventura (non mi azzarderei a definirla storia) della famosa Arca di Noè. Lo stiracchiato 6,1 che il film racimola su IMDB è piuttosto eloquente, oltre che di manica larghissima, per inquadrare un film più vicino al fantasy dei vari Hobbit che all’epopea biblica che invece dovrebbe rappresentare. Insomma, una ciofeca fatta e finita, in cui la parola God non viene mai pronunciata (pare che The Creator sia molto più chic) e in cui alla fine tutta la storia dell’Arca appare secondaria rispetto alle battaglie digitali (ma basta!), ai mostri/angeli di pietra animati alla bene e meglio e all’impresentabile psicosi di Noah/Crowe. Ma soprattutto al solito trito, ritrito, stucchevole, noioso, dejà-vù, palloso, patetico scontro tra il buono (?) Noah e il superbaddie di turno, che non muore mai. Alla fine sei li sul tuo divano, con sbadigli incorporati (perché oltre tutto sto polpettone dura 138 minuti), che ti sorprendi a pensare “aridatece i polpettoni biblici che ci facevano vedere all’oratorio.” Da dimenticare.
Noah: A great flood is coming. The waters of the heavens will meet the waters of earth. We build a vessel to survive the storm. We build an ark.