Stroncato dalla critica, non riconosciuto dall’autore del romanzo da cui è tratto (Frederick Forsyth), osteggiato anche da Fred Zinnemann regista dell’originale The Day of the Jackal (1973), questo film sembra avere attirato su di se tutta la voglia di critica dei frustrati di Hollywood e dintorni. Il che, sinceramente, è abbastanza incomprensibile. Perchè se è vero che The Jackal non è un capolavoro, nè una pietra miliare, nè particolarmente memorabile, è altrettanto vero che i tromboni della critica ufficiale si sono spesso sperticati con bonaria tolleranza per filmetti molto peggiori di questo. In fondo, lo sciacallo di Michael Caton-Jones è un dignitoso thriller di fine anni ’90, girato senza fronzoli nè con particolare personalità, ma con la gradevolezza del mestiere, una bella fotografia croccante, un montaggio bello ritmato, musica giusta e con un supercast da urlo in cui al tandem di belloni Willis/Gere si affiancano con autorevolezza l’evergreen Sidney Poitier e la credibile Diane Venora nei panni della poliziotta russa. Lungo il percorso è intrigante vedere i vari travestimenti dello sciacallo, l’inseguimento dei buoni, lo sviluppo del piano, la costruzione dell’arma. E se anche, ovviamente, il film richiede un discreto esercizio di training autogeno per raggiungere l’indispensabile sospensione dell’incredulità, alla fine la sua unica vera pecca è il solito, assurdo, forzatissimo, fottuto happy end. Perchè il vero Jackal ce l’avrebbe fatta, ma i benpensanti del sunset boulevard non ne vogliono sapere, forzando un finale in cui i soliti buoni trionfano, che più ritrito non si può. E poi lo criticano. Che dire? Coraggio.
Declan Mulqueen: This man is no clown. He knows all your moves, back to front. Right now, you’ve got a name; that’s all you’ve got. The Jackal has got a target: you. He’s got a timetable. And as to making mistakes, he’s spent twenty years in a trade that doesn’t forgive error. And he’s prevailed. You think he’s the one who’s up against it? It’s the other way around.