Unforgiven (1992)

131 minuti di meraviglioso omaggio a Sergio Leone e Don Siegel firmati Clint Eastwood. Ma anche un grandissimo omaggio, quasi disperato, alla leggenda del west americano e di tutto il cinema western, ai suoi tempi dilatati, ai paesaggi mozzafiato e ai suoi personaggi di poche parole, unici e maledetti. Killer che, come i film di Leone, invecchiano ma sono sempre pronti a tornare e dare la zampata mortale. Il commovente e spietato personaggio di Eastwood William Munny in fondo non è altri che The Man With No Name trent’anni dopo. E così come l’Eastwood regista decide di forzare un ritorno al genere western nel 1992, Munny sarà costretto dagli eventi a riprendere in mano bottiglia e pistola. The Man With No Name is back, insomma, per una delle più intense, violente e commoventi vendette della storia del genere. E che ritorno! Quattro oscar: miglior film, miglior attore non protagonista (un immenso Gene Hackman) miglior regia e miglior montaggio, e quinta statuetta per miglior attore a Clint mancata di un soffio, ceduta solo di fronte all’inarrivabile prova di un certo Al Pacino per Scent of a Woman. Girato in inverno nelle meravigliose praterie tra Wyoming e Kansas, Gli Spietati è il film che conclude il ciclo iniziato nel 1962 da Per Un Pugno di Dollari, ricongiungendo l’approccio spaghetti western a quello più canonico del western americano in un opera definitiva. E se la colonna sonora – unica leggera pecca, piuttosto impersonale – fosse stata affidata a Ennio Morricone, 5 stelle non sarebbero bastate. Capolavoro assoluto da correre a vedere ad ogni costo.

Little Bill Daggett: You’d be William Munny out of Missouri. Killer of women and children.
Will Munny: That’s right. I’ve killed women and children. I’ve killed just about everything that walks or crawled at one time or another. And I’m here to kill you, Little Bill, for what you did to Ned.

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Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo (1966)

Il terzo capitolo della cosiddetta trilogia del dollaro si apre con le scene che presentano i tre protagonisti Blondie, Sentenza e Tuco – Clint EastwoodLee Van Cleef ed Eli Wallach – girate all’insegna di inquadrature lunghe e silenziose, interrotte solo dal soffio del vento e, nella scena di Blondie/Eastwood, da uno dei dialoghi più efficaci nel definire con due parole il carattere del Biondo e l’approccio al cinema di Sergio Leone: Bounty Hunter: [holding a wanted poster] Hey, amigo! You know you have a face beautiful enough to be worth $2000? Blondie: [from behind them] Yeah, but you don’t look like the one who’d collect it. Memorabile in tutto, dalla musica – forse la miglior soundtrack di Morricone – ai dialoghi, al famoso triello dello scontro finale, questo film contiene i segnali di quello che sta per arrivare dal regista, che dal ritratto di un uomo in un piccolo paese, si muove a grandi passi verso l’affresco e l’epopea. E’ con questo film che Leone raggiunge il massimo del proprio concetto di cinema, regalandoci lungo tutti i suoi 177 minuti scene e sequenze da cineteca capaci di entrare nell’immaginario western collettivo, culminando nella folle corsa finale di Tuco/Wallach nel cimitero, con la meravigliosa The Ecstacy of Gold in sottofondo, scena ancora utilizzata in tutte le scuole di cinema come esempio di regia e montaggio perfetti. Capolavoro assoluto del cinema western di tutti i tempi, da vedere ad ogni costo, vedendo e rivedendo come in moviola la già citata, disperata corsa di Tuco.

Blondie: You see, in this world there’s two kinds of people, my friend: Those with loaded guns and those who dig. You dig.

High Plains Drifter (1973)

Dopo il triennio passato a studiare alla scuola di Sergio Leone, Clint Eastwood va a Mono Lake (California) e si improvvisa regista di un film western americano, che però è a tutti gli effetti uno spaghetti western. Anche qui infatti – così come nella miglior tradizione dei film western nostrani – non ci sono indiani, nè il 7° cavalleggeri, nè carovane di mormoni, ma solo una semi-desertica cittadina di confine, in cui l’umanità lascia spazio allo spirito di sopravvivenza. I personaggi sono estremi, immorali, bestiali, gretti, in quello che sembra essere comunque un omaggio al maestro. Il west di Eastwood è infatti inevitabilmente clonato dall’incubo di Sergione, e anche il personaggio che lui stesso porta sullo schermo è figlio (o fratello) dello straniero senza nome della trilogia del dollaro. Un film secco e teso, che parla ancora una volta di una vendetta studiata fino all’ultimo dettaglio, e di un uomo senza nome (chi sei? gli chiedono verso la fine) che si presenta come un rifiuto della società e che alla fine ne esce come l’unico in cui la civiltà non è stata sacrificata all’interesse. Meravigliosamente memorabile l’umorismo dark con cui Eastwood mostra, nella scena del cimitero, due tombe con i nomi di Sergio Leone e Don Siegel, omaggio ai due registi – allora in vita – ispiratori e iniziatori della sua carriera cinematografica.

Sarah Belding: Be careful. You’re a man who makes people afraid, and that’s dangerous.
The Stranger: It’s what people know about themselves inside that makes ’em afraid.

Per Qualche Dollaro in Più (1965)

The man with no name is back, recitavano i trailer della distribuzione internazionale dell’epoca. E infatti Clint Eastwood torna – con lo stipendio triplicato – a indossare il poncho peruviano di Per un Pugno di Dollari. Dopo aver – quasi disperatamente – cercato di non fare un altro western, Sergio Leone torna dietro la macchina da presa per dirigere il secondo capitolo di quella che diventerà la trilogia del dollaro. E’ con questo film che Sergione mette a punto definitivamente il suo stile, segnando l’ultima svolta, e il destino, del genere western. Il film è meraviglioso e sostituisce la forzata semplicità del predecessore con una profondità e un’ampiezza capaci di mozzare il fiato. Cast e location migliorano, regalandoci una meravigliosa coppia di bounty killer all’inseguimento di una specie di mucchio selvaggio al comando di un tossico Gian Maria Volontè. Nel mio cuore c’è uno spazio, un cassettino dedicato alla scena finale: il duello tra Van Cleef e Volontè. Bellissimo, girato in purissimo Leone-style, con i due avversari agli estremi del fotogramma 2.35:1 e il carillon che suona in primo piano, tra le mani di Eastwood. E quell’ultimo dialogo che riassume in un commovente distillato la storia del film: Van Cleef: Ragazzo, sei diventato ricco. Eastwood: Siamo diventati ricchi… Van Cleef: No, tu solo. E te lo sei meritato… Eastwood: e la nostra società? Van Cleef: un’altra volta… Pellone d’oca, e storia del cinema.

Space Cowboys (2000)

Ok, è una cazzatona. Ma una di quelle cazzatone bellissime, spassose, ben girate, super-prodotte, divertenti e belle fresche come un bicchierone di Coca Cola quando ti svegli dalla pennichella. Clint Eastwood dirige una cast di amici (Tommy Lee JonesDonald SutherlandJames Garner) che evidentemente si divertono, sprigionando una chimica e un’energia capaci di coinvolgerti e farti giocare con loro. Da mal di pancia tutto il loro addestramento in cui, tra dentiere e occhiali da vicino, si consuma il confronto con i giovani astronauti della NASA. Un film che non pretende mai nemmeno per un secondo di prendersi sul serio – malgrado il plot post cold war – ma che invece invita a divertirsi spensieratamente con questi quattro memorabili cazzoni. Forse non da storia del cinema, ma sicuramente una bella serata tra le stelle. E poi a nanna col buon umore!

Where Eagles Dare (1968)

I film degli anni ’70 sulla seconda guerra mondiale, con supercast e superproduzione, chissà perchè avevano tutti un sapore molto particolare.  Come una specie di denominatore comune che, per chi come me li ha visti da bambino, li rendeva speciali. Qui c’è tutto: il cast, la regia, il dispiegamento di mezzi e di location. Insomma, siamo ai massimi. E il colpone di scena finale con quel po’ di intrigo spy non guastano. Where Eagles Dare è imperdibile, anche oggi che il suo ritmo è diventato irrimediabilmente soporifero.

Coogan’s Bluff (1968)

Gettando le basi per quello che diventerà, dopo qualche messa a punto, Dirty HarryEastwoodSiegel si regalano questo filmetto gradevole, che fotografa la metamorfosi di Eastwood da Man With No Name in Callahan nel momento stesso in cui avviene. Perfetto, anche se forse non indispensabile.

Escape From Alcatraz (1979)

Inizia con Eastwood che arriva ad Alcatraz, ma tu sai già che entro la fine del film in qualche modo lo vedrai andarsene. Detto questo, Don Siegel costruisce un jail-movie evitando (evviva!) le solite storie di sevizie tra detenuti o prevaricazioni delle guardie carcerarie, puntando invece tutto sulla costruzione e la messa in atto della fuga. E sforna l’ennesimo capolavoro della sua carriera.