Live and Let Die (1973)

Il primo Bond interpretato da Roger Moore, l’unico in cui non appare il mitico Desmond Llewellyn nel ruolo di Q. Live and Let Die segna l’addio definitivo di un certo Sean Connery al personaggio e al filone, ed era ora visto che il Connery che aveva interpretato Diamonds are Forever era veramente ormai impresentabile, che in compenso cambia marcia. Moore porta un po’ della sua leggerezza, e quel suo sorriso ironico a sostituire il ghigno sbruffone e la s moscia di Connery. La sceneggiatura segue, e alleggerisce di conseguenza. Non sempre nella direzione giusta, però. Live and Let Die alla fine ha un paio di cose belle (il titolo e la musica) e per il resto è una ciofeca quasi inquadrabile. Non è un film di spionaggio, non è action, non intrattiene (l’inseguimento dei motoscafi è da spararsi nei coglioni) e non c’è nemmeno figa. Per non citare, ma lo farò, il patetico tentativo di strizzare l’occhio al filone Blaxploitation, che se fosse passata di lì Coffy avrebbe preso tutti a calci nel culo. Malgrado questo, però, il film fu un successone costato 7 milioni di dolla e capace di incassarne, ad oggi, oltre 161. Per carità, lo si può guardare, ma preparatevi all’effetto gran premio, soprattutto se il divano è comodoso.

James Bond: Hi there. Allow me to introduce myself. Bond. James Bond. 
Solitaire: I know who you are, what you are, and why you’ve come. You have made a mistake. You will not succeed. 

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Funeral In Berlin (1966)

Al picco del trend cold-war-spy-movie cominciato a inizio anni ’60 dal primo, indimenticabile film tratto da Ian Fleming (Dr.No, 1962), uno stilosissimo Michael Caine viene chiamato per la seconda volta ad interpretare Harry Palmer, unico vero anti-007 del cinema. Là dove Bond eccedeva con quel suo approccio cafonal chic fatto tutto di champagne, mignotte e lustrini, Palmer era invece un molto più credibile agente segreto British: glaciale, distaccato, letale. E questo Funerale a Berlino resta uno dei migliori film di spionaggio non solo del periodo, ma di tutti i tempi. Nato come seguito ideale di The IPCRESS File (1965), in cui per la prima volta compariva il personaggio di Harry Palmer, questo film di Guy Hamilton – che guardacaso poi girerà anche diversi 007 – spinge l’acceleratore proprio sui punti deboli del concorrente Bond, sostituendo casinò e Aston Martin con un approccio molto più realistico, crudo e diretto. La scelta non pagherà (gli spettatori saranno pochini) e il terzo e ultimo capitolo della saga Palmer (Billion Dollar Brain, 1967) virerà vergognosamente verso la spy-comedy alla ricerca di un successo che comunque non arriverà, segnando la fine del filone anti-Bond. Ma per fortuna questo Funeral rimane, come patrimonio nostro e del cinema, come una perla rara, girato in una bellissima Berlino blindata e murata, raccontando di una spia senza giocattoli nè smoking che usa la testa per uscirne vivo.