Alien, Aliens, Alien 3, Alien Resurrection (1979, 1986, 1992, 1997)

alien2Dimentichiamoci le astronavi Spick&Span di A Space Odissey, i corridoi della Nostromo sono bui, sporchi e fumosi. Scott mette in scena il mostro nell’equivalante futuristico di un castello maledetto, e riesce a far paura (OK, confesso che per qualche notte avevo dormito agitato, dopo averlo visto al cinema nel 1979). E ancora adesso questo Alien non ha perso il tocco, anzi, come un buon vino è maturato e migliorato, e quei corridoi continuano ad angosciare. Alien è un film perfetto. Ridley Scott – nel prendere la rincorsa per Blade Runner – costruisce l’indimenticabile scifi thriller che darà il via ad una saga incapace di replicare l’unicità e la bellezza del primo capitolo, ma capace, nel bene e nel male, di diventare una pietra miliare del cinema di fantascienza. Come il suo protagonista, Alien è un film la cui perfezione è pari solo alla sua ostilità. Da vedere a tutti i costi.

Sette anni dopo arriva Cameron con questo film che dimentica l’approccio innovativo di Ridley e lo affoga invece in un mare di pop-corn, come sapeva farli lui ai tempi. Tranne Ripley e l’Alieno c’è molto poco in comune col gioiello di Scott. Dove c’erano ansia, claustrofobia e mistero ora troviamo paura (poca), azione (anche troppa) e adrenalina (ammettiamolo). Dato che nell’86 Cameron era cintura nera di action-movie, possiamo dire che con questo Aliens giocava in casa, i suoi Marines dello Spazio sono sexy e ispireranno varie imitazioni (Starship Troopers anyone?). A patto di non fare paragoni col primo, le oltre due ore di film volano, ti diverti, e alla fine hai quasi la sensazione di aver visto un capolavoro. A patto di non fare paragoni.

Passano altri sei anni, ed è il turno di David Fincher, qui al suo debutto. Che dire? Questo film è stato scritto e riscritto, apparentemente di peggio in peggio: Ripley c’è, no non c’è più. Dirige Scott, no non può, o non vuole. Alla fine ne esce una mezza schifezza, scritto all’ultimo minuto da Walther Hill, con una regia decisamente poco ispirata e delle incoerenze narrative con i primi due capitoli grandi come praterie. In sintesi, una ciofeca che non aggiunge nulla, e che ha pure fatto incazzare James Cameron per il modo poco rispettoso in cui sono stati liquidati i suoi personaggi Hicks, Newt e Bishop.

Ma purtroppo non è finita, e nel 1997 arriva l’ultimo capitolo della saga, directed by il francesino signor nessuno Jean-Pierre Jeunet e scritto da un Joss Whedon evidentemente ubriaco. Siamo quasi dalle parti di Spaceballs: non si sa come, lo scienziato pazzo di turno ha clonato Ripley da una sua goccia di sangue, duplicando ovviamente (?!) anche l’alienino in gestazione dentro di lei. Breaking news: i militari vogliono allevare Aliens (e noi: no shit?). Poi ovviamente qualcosa va maledettamente storto e muoiono tutti, tranne Ripley e un paio di altri, per un happy end al tramonto infarcito di frasi da baci perugina su quanto sia bella la Terra. Da incorniciare, per manifesta demenza senile, tutto il finale con l’ibrido umano/Alien, che non commento oltre. Insomma, peggio di Alien 3, non solo non aggiunge nulla, ma rende il tutto troppo cheesy per essere vero. Una schifezza di film, una zavorra per l’intera saga.

Ripley: Final report of the commercial starship Nostromo, third officer reporting. The other members of the crew, Kane, Lambert, Parker, Brett, Ash and Captain Dallas, are dead. Cargo and ship destroyed. I should reach the frontier in about six weeks. With a little luck, the network will pick me up. This is Ripley, last survivor of the Nostromo, signing off.

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Appaloosa (2008)

Adoro il cinema western e apprezzo tutti i produttori e registi che, dalla sua morte alla fine degli anni ’70, ogni tanto provano a rianimarlo. Purtroppo, con buona pace mia e di tutti gli altri fan, il genere resta stecchito – temo non ci sia più speranza – ma qualche buon film nel tempo è arrivato. Appaloosa è uno di questi: il grande Ed Harris, qui in veste di protagonista e regista, ci fa dono inaspettato di quello che, devo ammettere, è un grandissimo film. Abbandonate le atmosfere da epopea dei film di John Ford e le scanzonate e indolenti variazioni sul tema dello spaghetti western, da Leone a Trinità, Harris (alla sua seconda prova dietro la Mdp) ci regala un film di frontiera, crudo e cazzuto, in cui le pistole sparano davvero e le ferite non si guariscono legandoci intorno la bandana. Un cast davvero stellare completa il tutto, a riprova che agli attori il western non dispiace affatto: Viggo Mortensen col fucilone è da bacheca, Renée Zellweger dà profondità al personaggio della solita sgualdrina da saloon che cerca di stare al mondo come può, Jeremy Irons è il superbaddie di turno, cattivo e spietato al punto giusto. Il tutto con la stupenda e credibile fotografia di Dean Semler, ad esaltare – splendidamente musicati – i meravigliosi scenari del sud-ovest americano. Appaloosa è una grande storia di amicizia, di bastardi e uomini veri, di sceriffi e puttane. Un grande film di avventura vestito da cowboy. Io in questo caso non faccio testo, ma se vi capita guardatelo.

Randall Bragg: I told you you’d never hang me, Cole.
Virgil Cole: Never ain’t here yet.