Fantozzi (1975)

– Buongiorno, mi scusi se mi permetto di disturbare signorina, parlo con lo spett.le centralino della illustre società Italpetrolcemetermotessilfarmometalchimica?
– Sì, dica.
– Ecco, io sarei la signora Fantozzi Pina, moglie del ragionier Fantozzi Ugo, vostro impiegato.
– Non sono ammesse telefonate private con impiegati tranne in casi di decessi di parenti di primo grado. Lei ha decessi?
– No purtroppo, ma aspetti! Perché vede, io vorrei fare umilmente osservare che non ho più notizie di mio marito da diciotto giorni.
– Diciotto?
– Sì diciotto. Finora io non ho voluto importunare, ma ora mi permetto di cominciare a stare rispettosamente in pensiero…
Comincia così, con la meravigliosa e servilissima telefonata della Pina, il primo Fantozzi. Diretto dal volpone Luciano Salce e tratto dai primi libri scritti da Paolo Villaggio, il film porta in scena le tragiche disavventure del personaggio creato da Villaggio nel 1968 e divenuto col tempo simbolo di un’intera classe di lavoratori. Del valore sociologico di Fantozzi è già stato scritto e detto tutto e il contrario di tutto, per cui parliamo di cinema. Il film, pur essendo composto da una serie di episodi forzatamente collegati tra loro, è bello sodo e ha un ritmo che i produttori degli attuali penosi cinepanettone dovrebbero essere obbligati riscoprire per legge. Alcune scene, ormai entrate nel mito, sono realmente indimenticabili e rappresentano un monumento ad un cinema semplice, quasi teatrale, in cui la sceneggiatura e i dialoghi vincono sulla fotografia e sull’inesistente effetto speciale. Personalmente, adoro e cito la partita a biliardo con il Direttor Cavalier Diego Catellani, in cui (al ventottesimo coglionazzo e a 49 a 2 di punteggio)Fantozzi incrocia lo sguardo della Pina e, con un moto di orgoglio, infila una serie di colpi spettacolari (mitico il colpo partita: triplo filotto reale ritornato con pallino) andando a vincere e sbaragliando il Catellani. Alla fine, sotto la battuta facile e caciarona c’è un mondo di tristezza. Si ride parecchio, ma si ride amaro. Cult.

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