Giù la Testa (1971)

Questo è il film di Sergio Leone che troppi ancora definiscono western, ma che western non è. Giù la Testa, Coglione – questo voleva essere il titolo prima dell’intervento della censura – potrebbe essere definito post western. Del resto Sergione col west aveva chiuso, e lo sapevamo, con l’arrivo della ferrovia al pacifico e la morte simbolica di Biondo, Tuco e Sentenza per mano di Armonica in C’era una Volta il West. E infatti, qui il west americano non c’entra niente, il tutto si svolge nel 1911 durante la rivoluzione messicana e i protagonisti sono un messicano che suo malgrado si ritroverà eroe della rivolucion – un grande Rod Steiger il cui personaggio deve moltissimo al Tuco di Eli Wallach – e un bombarolo irlandese in fuga dalla sua rivoluzione – un enorme e ultracarismatico James Coburn. Per il resto, dimenticati i tempi dilatati e i lunghi silenzi della quadrilogia del west, Leone scrive e gira quasi in modo sbrigativo, miscelando temi scottanti come la rivoluzione ad un trattamento che a volte sfiora la leggerezza ridanciana e il mood dei Trinità che verranno (e in questo senso, la colonna sonora di Morricone pende decisamente verso il disimpegno alla Il Mio Nome è Nessuno, e non aiuta). Giù la Testa è un film estremo, e polarizza le reazioni: è intenso, romantico e commovente, ma anche schierato e seriamente imbevuto di politica. E’ leggero, quasi una commedia, ma anche drammatico e crudo al limite del gore, come nelle numerose scene di massacri e fosse comuni. Insomma ci sono tutti gli ingredienti per farne un capolavoro, anche se alla fine resta un senso di irrisolto, di incompiuto, di incompleto. Pare che ai tempi delle riprese Sergione fosse già ossessionato dal progetto di girare C’era una Volta in America, e potrebbe anche essere, dato che il retrogusto di Giù la Testa sa di capolavoro mancato di un soffio, forse proprio per distrazione, approssimazione, fretta.

Mao Tse Tung: La Rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La Rivoluzione è un atto di violenza.

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Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo (1966)

Il terzo capitolo della cosiddetta trilogia del dollaro si apre con le scene che presentano i tre protagonisti Blondie, Sentenza e Tuco – Clint EastwoodLee Van Cleef ed Eli Wallach – girate all’insegna di inquadrature lunghe e silenziose, interrotte solo dal soffio del vento e, nella scena di Blondie/Eastwood, da uno dei dialoghi più efficaci nel definire con due parole il carattere del Biondo e l’approccio al cinema di Sergio Leone: Bounty Hunter: [holding a wanted poster] Hey, amigo! You know you have a face beautiful enough to be worth $2000? Blondie: [from behind them] Yeah, but you don’t look like the one who’d collect it. Memorabile in tutto, dalla musica – forse la miglior soundtrack di Morricone – ai dialoghi, al famoso triello dello scontro finale, questo film contiene i segnali di quello che sta per arrivare dal regista, che dal ritratto di un uomo in un piccolo paese, si muove a grandi passi verso l’affresco e l’epopea. E’ con questo film che Leone raggiunge il massimo del proprio concetto di cinema, regalandoci lungo tutti i suoi 177 minuti scene e sequenze da cineteca capaci di entrare nell’immaginario western collettivo, culminando nella folle corsa finale di Tuco/Wallach nel cimitero, con la meravigliosa The Ecstacy of Gold in sottofondo, scena ancora utilizzata in tutte le scuole di cinema come esempio di regia e montaggio perfetti. Capolavoro assoluto del cinema western di tutti i tempi, da vedere ad ogni costo, vedendo e rivedendo come in moviola la già citata, disperata corsa di Tuco.

Blondie: You see, in this world there’s two kinds of people, my friend: Those with loaded guns and those who dig. You dig.

Per Qualche Dollaro in Più (1965)

The man with no name is back, recitavano i trailer della distribuzione internazionale dell’epoca. E infatti Clint Eastwood torna – con lo stipendio triplicato – a indossare il poncho peruviano di Per un Pugno di Dollari. Dopo aver – quasi disperatamente – cercato di non fare un altro western, Sergio Leone torna dietro la macchina da presa per dirigere il secondo capitolo di quella che diventerà la trilogia del dollaro. E’ con questo film che Sergione mette a punto definitivamente il suo stile, segnando l’ultima svolta, e il destino, del genere western. Il film è meraviglioso e sostituisce la forzata semplicità del predecessore con una profondità e un’ampiezza capaci di mozzare il fiato. Cast e location migliorano, regalandoci una meravigliosa coppia di bounty killer all’inseguimento di una specie di mucchio selvaggio al comando di un tossico Gian Maria Volontè. Nel mio cuore c’è uno spazio, un cassettino dedicato alla scena finale: il duello tra Van Cleef e Volontè. Bellissimo, girato in purissimo Leone-style, con i due avversari agli estremi del fotogramma 2.35:1 e il carillon che suona in primo piano, tra le mani di Eastwood. E quell’ultimo dialogo che riassume in un commovente distillato la storia del film: Van Cleef: Ragazzo, sei diventato ricco. Eastwood: Siamo diventati ricchi… Van Cleef: No, tu solo. E te lo sei meritato… Eastwood: e la nostra società? Van Cleef: un’altra volta… Pellone d’oca, e storia del cinema.

Il Mio Nome È Nessuno (1973)

Un film che racconta e sancisce la fine del west e del genere western. Dapprima attraverso il passaggio di consegne tra il western classico e lo spaghetti western, rappresentati dalla simbolica eredità che il grandissimo Henry Fonda/Jack Beauregard lascia allo scanzonato Terence Hill/Nessuno. Quindi con la vera e propria strage con cui sempre Fonda, pistolero alle soglie della pensione, fa fuori il Mucchio Selvaggio, con buona pace di Sam Peckinpah e di tutto il cinema western. Peccato che Leone abbia deciso di non girare personalmente questo film, limitandosi a produrlo (anche se in realtà alcune sequenze sono sue). Ne sarebbe forse uscito un prodotto più serio e vicino al suo cinema, che qui invece si alterna a momenti più comici alla Trinità. Ma forse anche questa è una delle chiavi di lettura del film.

C’era una Volta il West (1968)

La notizia, all’epoca, fu Henry Fonda nella parte del cattivo. Aggiungi Claudia Cardinale in versione mozzafiato, e poi BronsonRobards, gli spolverini, l’armonica, i dialoghi (I saw three of these dusters a short time ago. Inside the dusters there were three men. Inside the men there were three bullets…) Insomma, questa è l’opera che definisce e conclude l’idea di Leone di un west che forse non è mai esistito, ma che qui appare perfetto nei suoi spietati equilibri.